IL TRIBUNALE
    Decidendo    sull'eccezione   di   illegittimita'   costituzionale
 sollevata dalla difesa dell'imputato;
    Udito il p.m.;
    Rilevato  che,  nel  procedimento  penale in esame, l'imputato ha,
 prima che venisse dichiarato aperto  il  dibattimento,  richiesto  il
 giudizio  abbreviato  a sensi degli artt. 451, 452 e 483 del c.p.p. e
 il p.m. non vi ha consentito, si' che l'istanza e'  stata,  per  tale
 ragione, rigettata;
    Ritenuto  che  le  risultanze  del  dibattimento, in particolare i
 risultati della perizia, appaiono tali da imporre  l'affermazione  di
 penale responsabilita' dell'imputato;
    Osservato  il  p.m.,  dopo  aver  negato  l'assenso all'istanza di
 giudizio abbreviato, ha indicato il suo consulente  di  parte,  dott.
 Luigi Dagna, come teste, ed ha proposto domande che, come risulta dal
 verbale d'udienza, erano tendenti a confermare il  contenuto  da  una
 consulenza di parte allegata al fascicolo del p.m.;
      che  solo  dinanzi  alle opposizioni formulate dalla difesa alle
 domande cosi' rivolte dal p.m.  al  teste  Dagna,  il  rappresentante
 dell'accusa ha rinunciato al teste, ed ha formulato tardiva richiesta
 di perizia;
      che  l'indagine tecnica e' stata pertanto disposta d'ufficio del
 tribunale;
      che  il fatto che le conclusioni rassegnate dal perito d'ufficio
 ing. Steffenino non sono state  contestate  dal  c.t.  ne'  dal  p.m.
 stesso, che le ha poste a fondamento delle sue richieste di condanna,
 puo' far fondatamente ritenere che il consulente del p.m. aveva  gia'
 rassegnato  a  questo  conclusioni  identiche  a quelle rassegnate al
 tribunale dal perito d'ufficio;
      che  pertanto  nel  fascicolo  del  p.m.  esistevano, gia' prima
 dell'apertura del dibattimento, gli stessi  elementi  accusatori  poi
 acquisiti  nel corso del dibattimento, si' che era pertanto possibile
 addivenire a decisione allo stato degli atti;
    Rilevato  che, conseguentemente, per il solo fatto che il p.m. non
 ha consentito al rito abbreviato, l'imputato deve essere condannato a
 pena  superiore  a  quella  che  gli  sarebbe  stata  inflitta ove il
 consenso del p.m. vi fosse stato;
    Ritenuto  che in tale modo il sistema processuale vigente consente
 ad una parte - il p.m. - di esercitare un vincolante, unilaterale  e,
 al limite, immotivato condizionamento non solo del rito da seguire ma
 anche della pena da infliggere, senza che sia consentito  al  giudice
 alcun  intervento recuperatorio delle esigenze ritenute di giustizia,
 (cosa che invece e' prevista nel caso  di  richiesta  del  cosiddetto
 "patteggiamento" di cui all'art. 448 del c.p.p.);
    Ritenuto che il profilato sistema processuale pare contrastare con
 quanto  disposto  dall'art.  102   del   Costituzione,   essendo   la
 determinazione della pena prerogativa essenziale dell'esercizio della
 giurisdizione ed  essendo  tale  esercizio  riservato  unicamente  al
 giudice e non alle parti;
    Ritenuto che la normativa denunciata pare contrastare altresi' con
 l'art. 3 della Costituzione, in quanto  situazioni  uguali  subiscono
 diversita'  di  trattamento,  data  l'insindacabilita' del diniego di
 consesso del p.m. al rito abbreviato;
    Ritenuto di non poter definire il giudizio indipendentemente dalla
 risoluzione della menzionata questione;
    Vista la sentenza della Corte costituzionale n. 66 dell'8 febbraio
 1990 e l'ordinanza della stessa Corte n. 252 del 3 maggio 1990;
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;